È sabato. Non ho nulla da
fare. Il pomeriggio lo passo a bighellonare tra libri e un paio di cose da
scrivere. Mi chiama Dalia e mi chiede se ho voglia di andare a vedere uno
spettacolo comico al Karl Marx. Le dico che odio i comici. Quelli cubani
specialmente. Mi dice che c'è Panfilo. Panfilo mi piace. Ogni lunedì fa una
trasmissione in prima serata che si chiama "Vivir del cuento" che ha
ascolti altissimi e lui è bravo. Mia figlia mi dà il tormento dalle retrovie:
"dai papà, andiamo, andiamo...". Insomma, vado. Il fenomeno degli
umoristi cubani è in ascesa incontrollabile da qualche anno. Un fenomeno simile
al reggaeton. Non c'è locale che non abbia nel suo programma settimanale il
comico di turno. Io non li sopporto. Nella maggior parte dei casi una comicità
di basso livello al servizio del luoghi comuni più triti, volgarità gratuita,
superficialità a vagoni.
La comicità è una cosa importante. Una cosa seria, mi
verrebbe da dire. In Italia sono bastate due trasmissioni, Drive in e quelle
cacate del Bagaglino, per rovinare il gusto di generazioni. Io lo so bene. Si
veniva da veri e propri geni come Totò, Alberto Sordi, Paolo Villaggio, Nino
Manfredi e si è finiti coi Fichi d'India. Un'altra metafora del nostro declino.
A Cuba, uno spettacolo umoristico è una specie di rito popolare. Prima di
Panfilo arrivano altri comici minori che non mi fanno muovere neanche un
muscolo della bocca. Soliti temi. Quello che manca. Isolare qualche luogo
comune nel quale la gente possa rispecchiarsi e riderne. Un principio di satira
contro il potere. Brutta stare bloccati mentre la gente intorno a te ride. Non
lo faccio per snobismo ma "non me fanno ride!". Lo dico a
Dalia. Lei si preoccupa. "vogliamo andare via?". Le dico di no. Penso
alla comicità. Ricordo le pagine illuminanti del "Saggio sul comico"
di Freud. Devo passare il tempo. La risata come una scarica energetico di un investimento
emotivo che viene smontato bruscamente. Una cascata di energia che perde la sua
base d'appoggio e detona in una risata. Bella quella visione così meccanica,
idraulica, di un evento incontrollabile. Consiglio a tutti la lettura di quel
saggio di Freud. Penso ai livelli più elementari di comicità. Il ridicolo.
Quello che cade in mezzo ad una sala e la gente ride. Poi l'imitazione. Mi
viene in mente Corrado Guzzanti che ha nobilitato il genere ed ha ucciso
persone. Funari dopo la sua imitazione è morto. E poi l'imitazione del
venditore di quadri: Staccolanana, Cagnola, Mutandari. Tutto è rimasto
impresso. Penso a Crozza che non mi piace. Poi a salire. La cosiddetta satira.
Sentimenti ambivalenti. La mia passione giovanile per gli articoli di Michele
Serra. Tango, Cuore, Curzio Maltese, Stefano Benni. L'idea che mi sono fatto
negli anni: che la satira sia funzionale al potere che attacca. Lo rafforza.
Sempre? Forse non sempre. Gli anni mi impongono un relativismo d'ufficio. La
satira è una complicità aggressiva. Un'alternativa al menare le mani. Ricordare
Freud mi ha acceso una configurazione mentale da approccio psicanalitico alle
cose. Mi fermo. Sul palco adesso ci sono due che imitano un cuoco cinese ed uno
cubano. Luoghi comuni a gogo. Continuo a pensare. La satira come il gioco.
Sublimazione del conflitto. Dove l'ho letto? Millenni fa. Chi si ricorda. Per
questo non amo il gioco? Siamo in un'epoca dove si gioca tantissimo. Ma perchè?
Playstation, console varie. Perchè? Forse vale proprio quel concetto: sublimazione
del conflitto. Siamo molto aggressivi e quindi giochiamo tanto e facciamo tanta
satira. Boh. Sarebbe meglio menare e basta? Non lo so. Adesso viene sul palco
uno che fa l'ubriaco. È bravo a recitare ma non mi fa ridere la parodia
dell'ubriaco. Perchè socializzare un problema? Qui gli ubriachi gonfiano le
donne, danno coltellate, dicono cazzate. Non fanno ridere. Non rido. Mia figlia
ride. Mi preoccupo ma poi penso che anch'io alla sua età vedevo Gino Bramieri.
Vado avanti a pensare. Ricordo che mio padre era un genio della comicità
aggressiva. Era la sua forza ed il suo enorme limite. Vedeva una persona ed in
un secondo la smontava. Lasciava i pezzi per terra. Uccideva. Trovava i punti
deboli e la uccideva. Penso che nella vita ho sempre cercato di affrancarmi da
quella modalità anche se la ho nel sangue. Un modo di pulire il proprio dna.
Fra tre generazione sarà tutto a posto. Vado avanti. Penso a quale sia il
modello più alto di comicità. Mi vengono in mente tre nomi. Woody Allen, i
fratelli Marx e Roberto Benigni. Il gioco con se stessi. L'autoironia. La danza
delle parole. Altissimo livello ma non so trovare degli elementi distintivi.
Forse solo intelligenza. Battute. Non imitazioni nè scenette ridicole. Battute
di altissimo livello. Scardinare la logica in un istante. Togliere il tappeto
sotto ai piedi di un castello costruito con cura e con talento. Penso a qualche
battuta di Woody Allen che ricordo e finalmente rido. Poi ad alcune frasi di
Groucho Marx e rido ancora, poi a Benigni. Arriva sul palco Panfilo Epifanio.
Grande applauso. È il beniamino del pubblico. In realtà Panfilo è il
personaggio che interpreta, lui si chiama Luis Silva. Potrebbe recitare senza
stare nei panni di Panfilo ma tant'è. Alcune battute le conosco. Altre no. Mi
fa ridere. Comicità. Che mistero. Basta essere intelligenti e cambia lo
scenario. E la satira diventa dolce, e diventa questo gioco magico dell'energia
che carica degli scenari fantastici e poi crolla come una cascata rinfrescante.
Come una verità che cambia completamente la luce su un mondo e lo trasforma.
Se capitate a Cuba
sintonizzatevi sul canale 8 il lunedì verso le 9. C'è Panfilo Epifanio che fa
ridere. Lui sì.