Ristorante El Chanchullero
Ho scoperto El Chanchullero quasi per caso. Tornavamo a
piedi, io e Dalia, per prendere un almendron davanti al Capitolio in un tardo
pomeriggio torrido di un paio di anni fa. Avevamo terminato le lezioni del
giorno e scappavamo da un'Avana Vecchia che in quei mesi sembrava Sarayevo dopo
un bombardamento. Si camminava lungo strettissime lingue di terra lasciate
libere dagli scavi della compagnia del gas e facevamo slalom olimpionici tra
macerie ed umani che ripetevano: "amicci, amicci ittaliani... da dove venire?".
Meditavamo sull'identità di quel professore di lingua che pure un giorno doveva
aver impartito la lezione madre di tutte le lezioni, quella in cui aveva
pronunciato: "Agli italiani dovete dire: "amicci, amicci,
amicci..." ad oltranza. Li avrete in tasca!". Bene. Quel giorno
leggemmo un cartello (per piacermi un locale a me bastano dettagli) sulla porta
che recitava: "Qui non è mai stato Hemingway". Mi sembrò un buon
inizio. Non che io non abbia una venerazione per quel vecchio trombone,
ubriacone e puttaniere di Hemingway. Per certi versi lo adoro. Solo che a
L'Avana viene sbandierato un suo passaggio nei posti più improbabili. Entri nel
cesso di un autogrill costruito da un anno e leggi: "qui Hemingway
pisciava tutti i giovedì". Basta! Comunque si tratta di un locale che ti
mette subito a tuo agio. Bei piattoni. Bei prezzi. Bel servizio. Bella musica.
Sempre un po' più alta del dovuto e che salutarmente ti obbliga a dire cose
essenziali e a fare economia di cazzate. Bella gente. Fauna internazionale, ma
quella buona. Nessuna coppietta, lui 84 anni e lei 18 con sbadiglio compulsivo,
che trascorre serate agghiaccianti davanti a monoliti di perché. Un po' di
tregua dalle tinte forti della cubanità che lasci per un attimo, il tempo di
una cena, fuori dalla porta. Forse l'unico locale che ammicca in modo
convincente ad uno stile di ristorazione internazionale, mi verrebbe da dire
newyorkese, (va', l'ho detto). E poi dettagli importanti: birra congelata;
camerieri che si affrettano e sorridono; cucina cubana ma al di fuori di quel
ring asfissiante delle solite quattro cagate.
La seconda volta abbiamo deciso di invitare al
Chanchullero Emanuela, lettrice dell'Ambasciata ed allora non ancora sorella
intima come oggi e lo scrittore Davide Barilli. Fu una serata storta. Stavamo
al piano di sopra conversando amenamente e verso le 23 lo scenario è cambiato:
un gruppetto ubriaco composto da tre zoccole e altrettanti turisti pennellati
ha iniziato a ballare improvvisando un'improbabile pista fuori dal cesso. Poco a
poco il ballo è diventato un palpeggiamento orrendo, simulazioni neanche troppo
simboliche di copule, insomma... "conto? Scusi? Il conto, grazie...".
Fu solo un episodio. Poi ci siamo tornati tutti. Spesso.
Ripulendo quell'atroce battesimo. Al Chanchullero ho conosciuto per la prima
volta il maestro Marco Lo Russo, appena sbarcato a Cuba con un taciturno
compositore ligure, e basterebbe questo per avere a cuore quel locale e poi
tante altre serate piacevoli con Alberto, Sheila, Cinzia, Angelo, Gipsi,
Gianluca, Maurizio, Ileana, Mariangela e molti altri. Si dirà, e a noi che ce
ne frega dei tuoi amici? Lo faccio per ricordare, perché ognuna di quelle
serate è stata, ed è, la materia prima che costruisce il mio amore per questo
paese e, di conseguenza, per quel locale. Lo consiglio sempre, a tutti, e tutti
mi ringraziano. Non ci prendo una lira. Neanche uno sconto. E questa è la nota
dolente dell'intera questione. Ma poco male, si va al Chanchullero con una
testa ben poco imprenditoriale (tra l'altro per averla dovrebbero
trapiantarmela), per sorridere un po', per mangiare bene, con la certezza di
stare in un riposante cono d'ombra di uno dei pochi luoghi di L'Avana dove non
è mai stato Hemingway.