Siamo io
e Maurizio. Abbiamo appena finito di vedere Roma Barcellona dalla "tribuna
Siboney" e torniamo a casa. La tribuna Siboney è la splendida casa di Fabio che settimanalmente riunisce
una decina di romanisti sfegatati. Atmosfera stupenda: il nostro dialetto,
prelibatezze, chiacchiere, tifo, la Roma. Quella specie di malinconia diffusa,
quella distanza che colmiamo parlando più romano ancora, citando
ricordi, in un labirinto di parole private dove troviamo solo noi la strada. Io
e Maurizio per strada. Da Siboney prendiamo Quinta e cade sulla macchina una
tempesta tropicale. Si annunciava da ore ma adesso viene giù con la forza di un tuono interminabile. Quinta si inonda.
Dalle traverse scendono fiumi d'acqua che mettono paura. Macchine ferme. Il
Moskovic di Maurizio tira dritto come un guerriero coraggioso. Solleva creste
d'acqua come una barca a vela ma va avanti nonostante tutto. Maurizio mi dice
che il segreto delle macchine a benzina è lo spinterogeno. Se si bagna
quello, è finita. Mentre camminiamo a
passo d’uomo penso che mi piacciono le
piogge di settembre. Queste piogge.
Hanno il sapore del rimescolamento delle pedine del domino. Aria nuova.
"Agua", dicono qui. Un'altra partita ancora. Una specie di
rivoluzione. Parliamo ancora. Delle prestazioni dei giocatori. Di certe
intuizioni tattiche. Ma io sono altrove. Penso a questo settembre. Alla rivoluzione
permanente che mi attraversa. A queste piogge terrificanti che mi infliggo per
cambiare ancora le tessere della mia partita. Mi domando se abbia un senso
parlare della mia rivoluzione permanente. Se non sia una contraddizione in
termini.
Sta per
uscire un mio nuovo libro e sono contento. Ne sto scrivendo un altro che mi
cattura spesso i pensieri come una donna impossibile. Scrivo poco. La solita
storia, il solito braccio di ferro tra la vita, la sopravvivenza e la
scrittura. Li lascio fare come fosse qualcosa che non mi riguarda. Tanto è là che dobbiamo tornare, io e la
mia vita. Davanti ad una pagina bianca a rimettere a posto le cose. Giorni fa
io e Mabel siamo andati di sera a fare le foto al Morro per la copertina del
mio prossimo libro. Abbiamo preso la moto ed abbiamo percorso una strada
infinita: Regla, Guanabacoa, Alamar fino al Morro Cabaña. È stato bellissimo. Abbiamo scattato centinaia di foto,
abbiamo seguito il rito del cañonazo e poi abbiamo mangiato
qualcosa. Siamo tornati a casa di notte. Era una bella notte. Quasi fresca.
Sapevamo entrambi della rivoluzione imminente. Sogni diversi. Lei fra poco va
in Spagna a studiare e io resto qui. La solita storia. Faccio l'appello
interiore per chi resta. Come in classe. Non resto da solo. Non resti da solo,
Alessandro.
Quando
piove così non valgono le regole di
sempre. Percorriamo tratti del viale pedonale centrale di Quinta. Lo fanno in
molti. Il Moskovic sbuffa, perde colpi, ma non si spegne. Mi ricorda il mio
cuore sgangherato di settembre. Il mio cuore sgangherato di sempre.
Accelerazioni e passaggi a vuoto. Malinconie, mancanze, ma poi, quella
misteriosa energia per andare avanti, una mano ancora, una partita ancora.
Arriviamo
a casa e piove ancora. Aspettiamo che spiova parlando di nulla: ancora qualche
considerazione sulla partita ma poi silenzi. Poi progetti slabbrati come solo a
L'Avana è possibile farne. Io penso
alle settimane che vengono. Al suo fantasma che poco a poco uscirà di casa. Senza far rumore. Ai miei prossimi rilanci. Alla
testa sotto alla sabbia. Penso a settembre e alle piogge furiose di L'Avana.
Quelle che sembrano non finire mai o uccidere tutto. Poi per miracolo torna il
sole. Inatteso, improbabile. A rimettere le regole. A illuminare le strade. A
far tornare mondo il mondo. A raccontare una volta ancora, a uomini che non
vogliono crescere, che esiste un percorso ed un fine.