Qualche
giorno fa sono andato nel quartiere di Regla. Si tratta di un quartiere storico
e popolare che mi ha sempre incuriosito. Mi ha sempre incuriosito la sua
posizione che è come quella di una vecchia che guarda dal balcone quello che
succede nel palazzo di fronte. Regla si trova sul lato opposto del canale che
costeggia L'avana Vecchia ed è raggiungibile con la famigerata "lanchita
de Regla" una zatterona a motore che parte dall'Avenida del Puerto e
arriva (se arriva) nel cuore di quel quartiere. Se non sbagliate imbarcazione e
finite ad attraccare al Monumento del Cristo e quindi siete costretti a
ripartire dal via sprecando quasi un'ora (come è successo allo scrivente con la
testa chissà dove), in una decina di minuti siete dall'altra parte. L'occasione
era una visita a Nico.
Chi è Nico? Nico, all'anagrafe Domenico Luongo, è un
bell'italiano. La sua è storia nota da queste parti e passa di bocca in bocca
nella comunità italiana all'Avana, però mi andava di osservare coi miei occhi
il suo mondo proprio per dargli uno spazio su questo blog che si occupa di
bello in ogni sua forma. Nico è di San Giorgio a Cremano, in provincia di
Napoli, una di quelle realtà ruvide e complicate del nostro paese nelle quali
si aprono ogni tanto, inaspettatamente, squarci di luce accecante: Massimo
Troisi era nato proprio lì e basterebbe solo il suo nome per dare un senso alto
ad un intero territorio.
Domenico ha poco più di 40 anni. Fa l'allenatore di
calcio dal 1991 e la sua storia racconta, come quella di tutti i comuni mortali
senza santi in paradiso, fortune alterne, lavori a singhiozzo, un impiego da
guardia giurata, la crisi, la cassa integrazione, difficoltà. Quello che ho
imparato in quasi cinquant'anni di vita è che il segreto degli uomini che
valgono non sta nella capacità di schivare le avversità ma nella qualità delle
risposte che a quelle avversità riescono a dare. Ci sono due strade a mio modo
di vedere: aprirsi o chiudersi. Quando chiudersi diventa sinonimo di
inasprirsi, incattivirsi, diventare peggiori. Aprirsi invece diventa l'arte di
rilanciare monete pulite sul tavolo della vita. È una strada difficile e poco
automatica ma c'è chi la prende e diventa immediatamente bello. Nico è un uomo
bello. Di fronte alle difficoltà ha deciso di partire. Insieme ad Adis, sua
moglie, vera essenza della donna cubana, cuore e senso pratico, ha deciso di
inseguire un sogno. Nessun progetto imprenditoriale ma invece la voglia di
coltivare semi buoni dall'altra parte del mondo. Nel quartiere Regla. Così
lontano ma così simile a tante nostre periferie degradate, tra vicoli e piazze
che sembrano dimenticate e lasciate incompiute da un autore pigro. Tra occhi di
bambini che sembrano avere soltanto bisogno di un sorriso e di un po' di
fiducia. Nico ha deciso di mettersi al servizio di quel mondo. In pochi mesi ha
costruito una scuola di calcio che si è proposta, al primo punto di un
programma scritto con il cuore, di togliere i giovani dalle strade. Con
l'intraprendenza che solo un italiano sa avere, ha ottenuto un'area
disponibile, ha vinto resistenze, ha messo a tacere scetticismi, e si è
ritagliato uno spazio che velocemente ha generato i suoi frutti. Ne è nata una
realtà che sta in un confine virtuoso tra una società sportiva, un oratorio ed
una missione. In poco più di un anno di vita dell'iniziativa offre
un'alternativa concreta alla strada a più di 150 ragazzi tra i 4 e i 15 anni.
È bastato entrare nella struttura messa a disposizione dalle amministrazioni locali (un'area polivalente che si trasforma, secondo l'orario e i giorni, da campo d'allenamento a sala prove dei "Guaracheros di Regla", da discoteca all'aperto a campo di futbol sala) per capire tutto: centinaia di bambini splendidi, ordinati per età, vestiti con uniformi impeccabili arrivate da una gara di solidarietà tutta italiana, genitori sorridenti, aria sana. Mi aspettavano. Mi scrutavano con la fierezza negli occhi dei bambini cubani, con quei lampi da ometti sempre un po' più grandi della loro età, sempre un po' più forti del vento che gli soffia contro. Il loro culto per le fotografie. Il loro senso del rispetto. I loro sogni disordinati tra Messi e Shakira, tra Cristiano Ronaldo ed un'isole che non c'è dall'altra parte del mare. E in mezzo a tutta questa bellezza Nico, come un Mourinho buono, che imponeva un'autorità fatta di sorrisi e battute, il repertorio migliore della nostra tradizione di brava gente. Domando ad uno dei più piccoli: "Che vuoi fare da grande?", e lui mi risponde con la sicurezza degli uomini forti: " Farò il calciatore quando sarò grande!". Per un attimo torno indietro di quarant'anni. Le mie stesse certezze incrollabili. Il gusto totale per quel gioco e quel campo. Domando ad un altro, più grande, quale sia il suo modello e lui mi risponde inaspettatamente "Platini". Poi altri mi subissano di Messi, di Ronaldo. Altri ancora mi parlano di Higuain. Rido con Nico e gli dico che, da tifoso napoletano, sta facendo un lavoro nell'anima di questi ragazzi. Domando se qualcuno conosce Totti. Arrivano dei sì non troppo convinti. Uno mi dice: "ma Totti è vecchietto...", vorrei reagire ma sono bambini.
La
scuola, la squadra ha vari nomi: quello più gettonato è Club Forza Napoli come
recita uno striscione affisso al lato del campo e sciolgo in un attimo ogni
tipo di campanilismo tutto italiano. Mi sento coinvolto da quell'entusiasmo, un
po' napoletano anch'io. Faccio qualche domanda ai genitori. Molti svicolano
come alunni che non vogliono essere interrogati ma poi parlo con Juan Carlos,
padre di uno dei più piccoli. Mi dice che questa "è una grande opportunità
che hanno questi ragazzi per realizzarsi in ciò che gli piace. Lo sport li
forma nella vita, gli crea il carattere, li sviluppa fisicamente e mentalmente.
Si sentono bene con Nico e noi genitori siamo felici...". Poi prende
coraggio Yanet, madre di un piccolo centrocampista, che mi dice: "È molto
importante la possibilità che Nico sta dando ai nostri figli perché li aiuta a
crescere. Mio figlio ha iniziato a 4 anni e lo sta aiutando molto ad essere
individuo, ad essere più forte e a saper risollevarsi ogni volta che
cade". Poi un'altra mamma mi racconta che ciò di cui adesso hanno più
bisogno è un terreno vero e proprio. Questo spazio di cemento è troppo piccolo
e troppo pericoloso per tutti quei bambini. Le istituzioni hanno promesso un
campo di terra ma per ora non è arrivato niente di concreto.
Poi
ho voglia di vederli giocare. Nico organizza delle brevi partitelle ed io mi
ipnotizzo su quel campo. C'è quello più tecnico, quello che non passa mai la
palla, quello un po' incerto, quello che imita il calciatore famoso, quello che
mi guarda di tanto in tanto sperando che io abbia il potere di scoprirlo e di
mandarlo a giocare nel Real. Mi piace che alla base di tutto ci sia la gioia
del gioco. Nessun isterismo, nessun perfezionismo. Nico me lo conferma: "soprattutto
a questa età devono sviluppare le loro capacità senza vincoli e coltivare
qualità che non sono direttamente legate al gioco: la lealtà, il controllo, la
cultura della sconfitta". Gli domando dei genitori. In Italia si assiste
al fenomeno odioso di genitori rabbiosi che minacciano gli allenatori, che
caricano un figlio di tutte le loro aspettative e frustrazioni e gli rovinano
il gioco. Nico mi dice che qui non c'è niente di tutto questo. L'unico
desiderio di questi genitori è che il bambino non sprechi il proprio tempo e
che si diverta. Ogni partita è l'occasione per stare insieme, piccoli e grandi,
in un tempo di qualità. Finite le partite mi fermo con Nico. Voglio parlare un
po' con lui. Scavare. È stanco. La mattina ha avuto una partita a 10 de Octubre
con i più grandi e il pomeriggio gli allenamenti. "Nico, quanto tempo ti
prende tutto questo?" - "Tutti i pomeriggi della settimana dalle 4,30
alle 9 e il sabato anche la mattina..." - "È faticoso?" -
"Sì, è faticoso, ma se lo fai con passione non pesa" - "Ma
questi bambini pagano per giocare?" - "Chiediamo 40 pesos cubani
(circa un euro e cinquanta) per pagare le spese del campo e il pullman per le
trasferte ma se non li hanno non cambia niente, fanno parte del gruppo in ogni
caso" - "Senti, Regla passa come un quartiere difficile... Come ti
sei trovato proponendo la tua iniziativa qui?". Nico sorride:
"Alessandro, io nella mia vita ho allenato a Barra, Ponticello, San
Giovanni, Torre Annunziata, Torre del Greco... posso avere timore di Regla?".
Sorridiamo. Ho una domanda che preme su tutte le altre da quando sono arrivato.
È molto semplice: "Perché lo fai?" - "Il calcio è la mia
passione... e poi io e mia moglie siamo persone molto credenti. Nel momento in
cui le cose in Italia hanno preso una brutta piega ci siamo messi nelle mani di
Dio. Ed è come se Dio ci abbia risposto. Abbiamo sentito l'impulso di venire a
Cuba e di aprire questa scuola calcio. Era quello che sapevamo fare e lo
abbiamo fatto. La chiesa di Regla, che frequento, mi chiama missionario..."
- "Ok, e adesso il tuo obiettivo qual è? Cosa ti aspetti da tutto
questo?" - "Ci aspettiamo risultati su vari piani. Quello principale
è l'aspetto umano: vogliamo fare qualcosa di concreto per la vita di questi
ragazzi. Toglierli dalla strada e farne persone migliori. È bastata questa
piccola iniziativa e loro hanno risposto con un entusiasmo incredibile. Pensa
che vengono al centro anche quando non hanno gli allenamenti, vengono perché
stare in questo ambiente gli piace, si sentono bene..." - " E il secondo?"
- "Il secondo è un sogno personale che condivido con loro... mi piacerebbe
che da questa scuola escano i futuri giocatori della nazionale di Cuba, quella
che si qualificherà per un mondiale..." - "Credi che sarà possibile?"
- "E perché no? Il calcio a Cuba sta soppiantando totalmente il
baseball... È uno di quei paesi in cui è presente un fenomeno che in Italia sta
scomparendo: qui i bambini giocano in ogni angolo della città, sulla strada,
senza scarpe a volte, con palloni improvvisati... È così che sono nati i più
grandi talenti della storia del calcio... perché non sognare che questo possa
accadere qui?" - "Quali sono le differenze che noti tra i bambini
italiani e quelli cubani?" - "Beh, mi sembra che i cubani abbiano più
fame di vita... si entusiasmano per cose che gli italiani danno per scontate.
Una maglietta, un pallone vero... Qui senti l'energia della vita...".
A
me sembra tutto. Il sole è già tramontato e i bambini sono andati via.
Rimaniamo per le ultime chiacchiere. Mi sento sazio di quello che ho visto. Ho
nelle orecchie tutte le note di quel pomeriggio. Negli occhi tutti gli occhi
che ho incrociato. Camminando verso la lanchita Nico sente che ancora mi deve
dire qualcosa. Una cosa importante. Fatica a trovare le parole. "Vedi Alessandro,
io ho allenato a livelli più alti, ho allenato la Turris in serie D, ho fatto
campionati difficili dove ero pagato... però qui... mi succede una cosa
diversa, non so se riesco a spiegartela: facciamo delle partite amichevoli,
sono bambini, però solo qui, quando segniamo,
ecco, io mi emoziono..." - "Ti sei spiegato, Nico, ti sei
spiegato...".