Di nuovo qui. Computer acceso, sigarette, totale
disordine nella mia stanza, una trentina di libri sulla mia destra, un Kindle,
un ombrello macchiato, uno scampolo di stoffa mal piegato, uno scatolone, due
materassi in verticale, una lastra di cartongesso, un cavalletto, un pacco di
carta igienica, una bici rotta, buste, un fornello, una scala, ma alla fine,
qui,
davanti a me, l'importante: lo spazio per questa tastiera, le mie dita, la voglia di
scrivere. In realtà, seppur con
un'incostanza terrificante, ci sono sempre stato. Intendo dire nei pressi di
questo blog, dalle parti di un diario di un viaggio che non è più un viaggio.
Nell'ultimo anno ho scritto qualcosa ma, tirando le somme, gli ultimi post
scritti con un impegno serio ed una cadenza regolare risalgono a quando? A un
anno e mezzo, due anni fa? Ok. In questo tempo non sono stato in un sottoscala
a piangere rivoltandomi in un lago di vomito ma ho tirato avanti.
Sono passati
e naufragati un paio di progetti per riprenderlo in mano questo blog, sono
passati due libri che ho scritto (uno in via di pubblicazione, l'altro, una
nuova raccolta di racconti su Cuba, quasi terminato), amicizie, tempo, Lilin,
Bolano, De Carlo, Hosseini, Montalban, Murakami, Palahniuk, De Lillo, altri,
strade, persone, la cronica mancanza di soldi, di tempo, di forze, Il Messico,
L'Ecuador, presentazioni in Italia, Fidel, la tv, la radio, fiacche lezioni
d'italiano, un ciclone, errori, l'adolescenza di mia figlia, quella mia senza fine, donne
casuali, vere, presunte, mancate, poi Flabia, mia moglie oggi, a modificare gli
orizzonti, orizzonti come nuvole di panna che si deformano dandoti il senso del
nulla e dell'eternità insieme, paure, gioie, potresti essere suo padre,
potrebbe essere tua figlia, Francesco Totti che mi lascia solo, e poi, dal
niente, l'arrivo dei cinquant'anni. Ecco, cinquant'anni. Come uno schiaffone
dato bene. Incassato male. Ancora mi gira la testa. Ci rido sopra. Alla fine è
più la recita che la sostanza. Mi vivono accanto. Come un coinquilino rumoroso
ma divertente. Mi impongono ricordi, rimpianti, risate, fallimenti,
soddisfazioni, in una carrellata sfocata che solo io so, che solo io sono. E
Cuba. Ancora lei. L'avana per l'esattezza. Questo piatto agrodolce che non mi
annoio di provare. Che quando penso di averlo capito sprigiona un sapore
diverso che disfa la matassa. Più ci sto dentro e meno la conosco. La città, la
gente. Mi sembra irragionevole ogni giorno di più l'ossessione per le
categorie, per i paradigmi, l'istinto di rendere commestibile, di spiegare con
parole proprie ciò che non è proprio. Si perde sempre, non una partita ma il
gusto unico di un boccone. E' forse per questo, per questa sottrazione costante
di certezze, che ancora mi piace vivere qui. Scartando le definizioni che ti si
costruiscono dentro, quelle degli altri, mi piace ancora vivere a cuore aperto
questa intimità con l'ignoto. Cuba, L'Avana. Mi è venuta voglia di parlarne
ancora. Perchè parlare di lei è parlare poco del fuori e molto del dentro.
Itinerari interiori, tentativi, più che una geografia reale di persone e di
cose. Ho fatto una lista di temi e in mezz'ora me ne sono venuti fuori 45.
Considerando un tema a settimana ho un anno di cose da dire. Già perchè voglio
impormi un metodo ed una disciplina. Parole arabe per me ma ho deciso di studiare
l'arabo. E' già deciso: ogni lunedì, cascasse il mondo, pubblicherò un pezzo
sul blog. Poi so che il mondo cascherà spesso, che magari mi fermerò, che sarò
fagocitato da altro, da altri. Ma per ora mi piace pensarlo così. Ogni lunedì,
cascasse il mondo, io ci sarò. Fate un po' voi.