Che Guevara, l'eroe, l'uomo, la sua immagine pubblica e la sua solitudine.
Diciamo intanto che io
mi posiziono nella schiera dei simpatizzanti e, boh, mi verrebbe da dire, nella
schiera di quelli che gli vogliono bene.
Sì, perchè con il Che, a differenza
della maggior parte dei personaggi illustri del 900, quello che ti lega è una
specie di filo sentimentale, una specie di catena invisibile che connette la
gente buona.
Mi accorgo di usare termini quasi infantili (voler bene, gente
buona) ma il fatto che siano passati di moda non vuol dire per me che non
abbiano senso.
Una delle chiavi di lettura (non l'unica ovviamente) della
storia può essere quella di dividere gli umani, soprattutto quelli che contano,
tra quelli che stanno per il bene e quelli che stanno per il male.
Questa
specie di manicheismo a volte semplifica troppo ma a volte orienta. Credo che Che Guevara stesse per il bene.
Credo sia stato un uomo che voleva migliorare le
condizioni di tutti, dare dignità, sorrisi. E credo volesse farlo davvero, in
modo autentico, con il cuore.
Credo che in questa battaglia, nata forse come il
sogno spropositato di un ragazzo, come una guasconata, ci abbia preso gusto,
sia cresciuta una vocazione profonda, sia diventata la sua pelle. Quella pelle
che poi gli altri, visto il pericolo che rappresentava, gli hanno fatto.
Non mi
interessa molto analizzare Che Guevara, sminuzzarlo, il politico, il guerrigliero,
il pensatore, le scelte giuste, gli errori. C'è già chi lo fa molto bene.
La malinconia di Che Guevara
Trovo
maggior gusto nel riflettere semplicemente sulla malinconia dell'eroe che gli
si leggeva negli occhi. Nelle foto. Nelle parole. Quel senso di fine e quella
enorme solitudine. Quella responsabilità verso il mondo che gli si andava
costruendo addosso in modo incontrollabile.
El Che, non più il dottor Ernesto
Guevara de la Serna, assillato dall'asma e dalle donne, ma un simbolo,
un'icona, quella carne, ossa e sogni dove andavano a catalizzare ed esplodere
le speranze di un pianeta intero devastato dall'ingiustizia.
Ho sempre trovato
di grande ispirazione il suo profilo intimo, direi, quei sorrisi mai felici per
intero, quel senso di fine malinconica che attraversava ogni riga dei suoi
diari in Bolivia.
Mi sembra ci fosse un uomo che - mai dimenticarlo: è fatto di battiti e paure, di malinconie e di
ricordi, come tutti - era irreparabilmente diventato ostaggio di se stesso,
della sua bellezza, dei suoi sogni immensi, della sua imprevedibile ascesa
nell'immaginario collettivo.
Che Guevara: la solitudine dell'eroe
Questo sarebbe il titolo
di qualcosa su di lui, per me. Quella condanna a vivere in una terra di mezzo
disabitata in cui non sei più un semplice uomo ma sei pur sempre un uomo. Dove
non puoi condividere con nessuno questa vertigine, dove sei costretto a morire
da eroe, appunto, perchè la morte arriva presto per uno così, e lui lo sapeva.
Una canzone di Guccini recita: "gli eroi son tutti giovani e belli" e
a me questa frase ha sempre fatto pensare a Che Guevara. Espropriato della sua
semplice vita di uomo e diventato una speranza di tutti. Con un sorriso triste.
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