C'è poco da fare: è un concetto, uno steccato, un muro contro il quale un immigrato - perchè questo sono a Cuba - sbatte la testa in continuazione. L'essere straniero. Se non lo vivi sulla tua pelle non lo capisci. Oppure vai avanti ad ipotesi ed astrazioni. Se decidi di andare a vivere all'estero questo allegato te lo porti dentro come una malattia autoimmune. È una questione di abitudini diverse, di gusti diversi, di modi di decodificare gli altri e di essere decodificato, di modi di ridere, di modi di mangiare, di modi di amare.
Credo sia una distanza ineliminabile. Possono passare decenni ma esisterà sempre quella zona grigia e malinconica a segnare una prossimità ma mai un'identità. Molti stranieri scelgono la via della mutazione. La patetica via della mutazione. Acquisiscono modi e linguaggio del posto, tic, gusti, perfino religioni, fino a diventare caricature. Credono, in questo modo, di avvicinarsi a qualcosa, di essersi guadagnati il biglietto d'ingresso ad una festa da ballo. Invece per me restano ormeggiati in un'isola in mezzo all'oceano, come tutti. Perchè uno straniero resta sempre tra due mondi senza essere più né dell'uno né dell'altro. È una brutta sensazione: stai a Cuba, ti portano, fai conto, ad uno spettacolo di umoristi cubani (non andateci mai!) e ti cascano la palle, ti senti lontano come su una spiaggetta di Alfa Centauri. E poi, mesi dopo, stai a Roma, vai, che ne so, in un ristorante, e ti senti fuori posto, fuori ritmo, fuori mondo. Certo, la romanità, chi me la toglie, quell'impronta così forte che ho nei miei gusti, nelle mie parole, nella mia maniera di vedere gli altri. Però c'è un però. Una sfumatura forse. Qualcosa è cambiato. Qualcosa ti ha cambiato. Sei cubano? No. Sei italiano? Sì, certo, ma un italiano fuori ritmo, immediatamente invecchiato rispetto al suo ambiente, immediatamente passato, superato.
Ovviamente l'essere stranieri ha il suo bello, se no si tratta di un confino. È bello conoscere altro. È bello affacciarsi sull'altro-da-sè e assaporare per un po' altre direzioni della vita possibili. Toccare con mano un altro modo di coesistere, di vedere l'oggi, il domani. Imparare. Allargare lo spettro delle opzioni possibili o, se non altro, relativizzare le proprie, contestualizzarle. È ancora tutto quello che mi sorprende a Cuba. Il fatalismo allegro della gente, il rapporto sereno con il denaro quando c'è, quando non c'è, la disinvoltura nelle relazioni, l'approccio alla vita, alla morte. Ma poi sei sempre là. Se sei onesto con te stesso, sei sempre là, a un passo da tutto ma mai dentro. E questa posizione mi piace. Sia chiaro. Non c'è nessuna amarezza. Il mondo che mi porto dentro mi piace. L'essenza italiana, se queste parole indicano davvero qualcosa di concreto e esprimibile, mi piace da matti. Anzi, la riscopro giorno dopo giorno. La pulisco dalla polvere della quotidianità che ci rende ciechi ed antiitaliani. La pulisco da un'attualità avvilente, dai Salvini e dai D'Alema, dai Renzi e dai Di Maio, dai Casapound e dai Moccia. Siamo dei fuoriclasse della vita. Noi italiani. Abbiamo l'oro dentro. Abbiamo generato millenni di cultura. Abbiamo detto tutto quello che c'era da dire di alto, di degno. Un paese piccolo così che ha fatto praticamente tutto. Ha dato l'alfabeto della bellezza al mondo intero. Parole di uno straniero. In mezzo al mare. Con poche speranze di toccare terra.