Pronunciato
così, secco, sembra il titolo di un cinepanettone. Pensandoci bene mi viene il
terrore e il sospetto che qualcuno lo abbia prodotto davvero ma non sono
informatissimo in materia. In ogni modo questo Natale mi prendo questo spazio
proprio per parlare delle feste, del Natale, appunto, e di come il popolo
cubano vive questo periodo dell'anno.
Chiaramente fa un certo effetto vedere
Babbo Natale con tanto di renne e slitta a trenta gradi in mezzo alle palme.
Più che un nonno buono e generoso sembra uno mezzo rincoglionito che ha
sbagliato strada con l'Ape. Comunque se ne vedono alcuni disseminati per la città,
soprattutto nelle zone residenziali. Come succede anche nella nostra bella
provincia italiana, l'entità, la brillantezza e la luminosità di un Babbo
Natale esposto in giardino o su un balcone è sinonimo di ricchezza perciò
questa nuova borghesia, appena nata a Cuba ma già fetente come una piscina
piena di merda, ripropone i suoi topos intatti anche da questa parte
dell'oceano. Il Natale, le feste, i pupazzi, le palle, i regali, in poche
parole il vero cuore della "spiritualità" cattolica (che pare vada a
braccetto con ogni cosa maleodorante) sono un'occasione troppo ghiotta per non
gettarcisi dentro quando si aspira ad essere dei borghesi piccoli piccoli. In
realtà del Natale e della nascita di cristo qui interessa a pochi. A qualche
straniero che per sentire un po' di aria di casa metterebbe la testa anche nel
sospensorio di nonno e a quello sparuto gruppo di cattolici autoctoni, appunto,
folgorati dalle kermesse ripetute dei papi buoni sbarcati sull'isola negli
ultimi anni. In realtà i cubani sono devoti alla santeria. Punto. Come già
detto in precedenti post non ne vado pazzo, ma la considero di gran lunga più
sana e migliore del cattolicesimo sotto qualunque travestimento esso si
presenti. Meglio una martellata sulle palle che una mezz'ora con un atleta di
cristo, con un teologo della liberazione (ohhhhhh), con un orco dell'Opus dei,
con un gesuita o con uno dei tanti preti bravi che dialogano coiggiovanitrogati.
A Cuba esiste una specie di turismo religioso, una disinvoltura molto cubana, che
oserei definire meravigliosa, che porta singoli individui a passare con
serenità da un decennio di peccato sporco, a tre anni di penitenze con Geova (a
proposito, ma la fine del mondo non doveva arrivare quando moriva l'ultimo uomo
nato nel 1918? Cioè, a che punto siamo? Se non è ancora morto, uccidiamolo!
Voglio dire: se non succede questa storia della fine del mondo, i Testimoni si
dissolvono? si dimettono?), a un paio d'anni ancora a vendere le chiappe a due
dollari per poi intraprendere un lustro di fuochi incrociati tra gli anatemi
dei pentacostali e i rimbrotti degli anabattisti. In questa cavalcata
dell'anima è facile che un cubano faccia anche una capatina tra i preti
cattolici che da qualche anno si vedono sfilare allegramente per strada come
cucarachas vicino allo scarico del bagno. L'offerta delle religioni un po' come
al Luna Park dell'Eur. I pesci rossi o il Tagatan? Insomma, la religione qui
(per fortuna) non è una cosa del tutto seria. La serietà mortifera dei preti
non ha grande futuro da queste parti. Meglio far seccare le palle al vicino di
casa antipatico decapitando un paio di galline che stracciarsi le palle (le
proprie questa volta) con una quaresima. Dà molta più soddisfazione la prima e
si riscuote in una mesata. La vita eterna e il paradiso hanno tutto il sapore
delle trattenute Inps che non rivedremo mai più. Tornando al Natale, il mio
automatismo pavloviano che mi ha portato a sparare dei Buon Natale a
ripetizione nei giorni scorsi, ha trovato tiepidissime risposte nei cubani.
Educazione e poco più. Ah, sì, certo, buon Natale anche a Lei. E poi silenzio.
L'unico sussulto dipende dal fatto che il 25 dicembre è diventato giorno
festivo da qualche anno. Non si lavora, si va a ballare, ci si ubriaca. Punto.
La vera festa dei cubani è il 31 dicembre. Già da fine settembre il cubano è in
fibrillazione per quella notte. Il lieve aumento di furtarelli negli ultimi
mesi dell'anno è una costante direttamente collegata con il 31. L'uomo che non
è in grado di portare a casa una zampa di maiale da rosicchiare con moglie e
figli a capodanno non è un uomo. Inutile dire che i maiali sono quelli che
attendono con meno euforia la data fatidica. Smettono di essere animali burloni
e simpaticoni e diventano un esercito di zamponi da comprare a caro prezzo e
poi da rosolare sulla piastra per un giorno intero. È tutto il rituale che
affascina: l'acquisto delicatissimo, l'addobbo della carne con spezie sapienti,
la preparazione della graticola, la cottura. Mangiarlo diventa quasi un
dettaglio. Quasi. La mia vigilia, per esempio, può essere riassunta in un solo
hashtag: #colesterolo. Bello e incisivo. A pranzo, con la famiglia di mia
moglie, ho fatto una scorta di proteine sufficiente per una campagna di Russia;
a cena, a casa di Emanuele, un amico italiano, abbiamo affondato le nostre
residue amarezze nell'immancabile zampa di maiale, accompagnata da yuca, poi da
tutto il resto, perfino da nutella, torroni ed altre tragedie annunciate. Noi
atei finiamo poi il 25 a trascinarci come penitenti sulla Quinta avenida per
smaltire ettolitri di grassi polinsaturi nelle terrificanti sessioni di jogging
festive. È dura ma si intravede la madonna all'ultimo chilometro. Un modo come
un altro per accedere alla grazia dalla porta di servizio. Mentre corriamo
promettiamo a noi stessi che il prossimo anno sarà tutto diverso. Magari
riscopriremo le nostre belle radici cristiane (mamma mia che emozione!), perché
no, e allora metteremo un bel Babbo Natale in giardino, e, per non farci
parlare dietro, ne metteremo in bella mostra un altro, quello simpatico che si
arrampica sul balcone. Per completare
tutta la liturgia andremo anche alla messa di mezzanotte e poi a trans
minorenni verso l'una. Deciso: il prossimo anno sarò più buono. Buone feste!
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