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martedì 26 dicembre 2017

Natale all'Avana



Natale all'Avana
Pronunciato così, secco, sembra il titolo di un cinepanettone. Pensandoci bene mi viene il terrore e il sospetto che qualcuno lo abbia prodotto davvero ma non sono informatissimo in materia. In ogni modo questo Natale mi prendo questo spazio proprio per parlare delle feste, del Natale, appunto, e di come il popolo cubano vive questo periodo dell'anno.
Chiaramente fa un certo effetto vedere Babbo Natale con tanto di renne e slitta a trenta gradi in mezzo alle palme. Più che un nonno buono e generoso sembra uno mezzo rincoglionito che ha sbagliato strada con l'Ape. Comunque se ne vedono alcuni disseminati per la città, soprattutto nelle zone residenziali. Come succede anche nella nostra bella provincia italiana, l'entità, la brillantezza e la luminosità di un Babbo Natale esposto in giardino o su un balcone è sinonimo di ricchezza perciò questa nuova borghesia, appena nata a Cuba ma già fetente come una piscina piena di merda, ripropone i suoi topos intatti anche da questa parte dell'oceano. Il Natale, le feste, i pupazzi, le palle, i regali, in poche parole il vero cuore della "spiritualità" cattolica (che pare vada a braccetto con ogni cosa maleodorante) sono un'occasione troppo ghiotta per non gettarcisi dentro quando si aspira ad essere dei borghesi piccoli piccoli. In realtà del Natale e della nascita di cristo qui interessa a pochi. A qualche straniero che per sentire un po' di aria di casa metterebbe la testa anche nel sospensorio di nonno e a quello sparuto gruppo di cattolici autoctoni, appunto, folgorati dalle kermesse ripetute dei papi buoni sbarcati sull'isola negli ultimi anni. In realtà i cubani sono devoti alla santeria. Punto. Come già detto in precedenti post non ne vado pazzo, ma la considero di gran lunga più sana e migliore del cattolicesimo sotto qualunque travestimento esso si presenti. Meglio una martellata sulle palle che una mezz'ora con un atleta di cristo, con un teologo della liberazione (ohhhhhh), con un orco dell'Opus dei, con un gesuita o con uno dei tanti preti bravi che dialogano coiggiovanitrogati. A Cuba esiste una specie di turismo religioso, una disinvoltura molto cubana, che oserei definire meravigliosa, che porta singoli individui a passare con serenità da un decennio di peccato sporco, a tre anni di penitenze con Geova (a proposito, ma la fine del mondo non doveva arrivare quando moriva l'ultimo uomo nato nel 1918? Cioè, a che punto siamo? Se non è ancora morto, uccidiamolo! Voglio dire: se non succede questa storia della fine del mondo, i Testimoni si dissolvono? si dimettono?), a un paio d'anni ancora a vendere le chiappe a due dollari per poi intraprendere un lustro di fuochi incrociati tra gli anatemi dei pentacostali e i rimbrotti degli anabattisti. In questa cavalcata dell'anima è facile che un cubano faccia anche una capatina tra i preti cattolici che da qualche anno si vedono sfilare allegramente per strada come cucarachas vicino allo scarico del bagno. L'offerta delle religioni un po' come al Luna Park dell'Eur. I pesci rossi o il Tagatan? Insomma, la religione qui (per fortuna) non è una cosa del tutto seria. La serietà mortifera dei preti non ha grande futuro da queste parti. Meglio far seccare le palle al vicino di casa antipatico decapitando un paio di galline che stracciarsi le palle (le proprie questa volta) con una quaresima. Dà molta più soddisfazione la prima e si riscuote in una mesata. La vita eterna e il paradiso hanno tutto il sapore delle trattenute Inps che non rivedremo mai più. Tornando al Natale, il mio automatismo pavloviano che mi ha portato a sparare dei Buon Natale a ripetizione nei giorni scorsi, ha trovato tiepidissime risposte nei cubani. Educazione e poco più. Ah, sì, certo, buon Natale anche a Lei. E poi silenzio. L'unico sussulto dipende dal fatto che il 25 dicembre è diventato giorno festivo da qualche anno. Non si lavora, si va a ballare, ci si ubriaca. Punto. La vera festa dei cubani è il 31 dicembre. Già da fine settembre il cubano è in fibrillazione per quella notte. Il lieve aumento di furtarelli negli ultimi mesi dell'anno è una costante direttamente collegata con il 31. L'uomo che non è in grado di portare a casa una zampa di maiale da rosicchiare con moglie e figli a capodanno non è un uomo. Inutile dire che i maiali sono quelli che attendono con meno euforia la data fatidica. Smettono di essere animali burloni e simpaticoni e diventano un esercito di zamponi da comprare a caro prezzo e poi da rosolare sulla piastra per un giorno intero. È tutto il rituale che affascina: l'acquisto delicatissimo, l'addobbo della carne con spezie sapienti, la preparazione della graticola, la cottura. Mangiarlo diventa quasi un dettaglio. Quasi. La mia vigilia, per esempio, può essere riassunta in un solo hashtag: #colesterolo. Bello e incisivo. A pranzo, con la famiglia di mia moglie, ho fatto una scorta di proteine sufficiente per una campagna di Russia; a cena, a casa di Emanuele, un amico italiano, abbiamo affondato le nostre residue amarezze nell'immancabile zampa di maiale, accompagnata da yuca, poi da tutto il resto, perfino da nutella, torroni ed altre tragedie annunciate. Noi atei finiamo poi il 25 a trascinarci come penitenti sulla Quinta avenida per smaltire ettolitri di grassi polinsaturi nelle terrificanti sessioni di jogging festive. È dura ma si intravede la madonna all'ultimo chilometro. Un modo come un altro per accedere alla grazia dalla porta di servizio. Mentre corriamo promettiamo a noi stessi che il prossimo anno sarà tutto diverso. Magari riscopriremo le nostre belle radici cristiane (mamma mia che emozione!), perché no, e allora metteremo un bel Babbo Natale in giardino, e, per non farci parlare dietro, ne metteremo in bella mostra un altro, quello simpatico che si arrampica sul balcone.  Per completare tutta la liturgia andremo anche alla messa di mezzanotte e poi a trans minorenni verso l'una. Deciso: il prossimo anno sarò più buono. Buone feste!

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