testo Alessandro Zarlatti
foto ©Emanuele Mozzetti
C'è un fenomeno strettamente cubano che mi ipnotizza come il fuoco del camino. Mi blocco lì e lo osservo come un uomo che non ha niente da fare (capita spesso), come un guardone.
Mi piace notare le variazioni di luce, gli acuti, le risate grasse, le lacrime, il concerto di lucine, centinaia, che me lo fa sembrare un campo di lucciole d'estate.
Parlo dei parchi wifi disseminati per l'isola intera e che hanno ormai sviluppato vita propria, una storia, stratificazioni, leggende. Spieghiamo: per parchi wifi si intendono dei luoghi (spesso parchi ma anche lungomare, pezzi di strade principali, piazze) in cui lo stato ha aperto il segnale wifi per l'accesso ad internet.
È un segnale fruibile per un raggio di un centinaio di metri e quindi, per forza di cose, obbliga gli internauti a stare gomito a gomito nelle loro navigazioni. L'idea dei parchi wifi è nata qualche anno fa per rispondere con rapidità ad una richiesta crescente di connessione da parte del popolo cubano. Sono così spuntati come funghi e ogni volta, soprattutto la sera, hanno cambiato il panorama dei quartieri. Mi piacciono. Mi sono sempre piaciuti. Surreali, lunari forse, questi assembramenti di persone vicine ma lontanissime. Ognuno nel suo percorso: esplorazioni professionali, cazzeggio, videochiacchiere, telefonate strazianti, che camminano su binari paralleli e non s'incrociano. Cuba, però, come al solito, è un po' diversa dagli altri.
Convivono, si sovrappongono, si alternano siparietti familiari fatti di dozzine di persone incollate davanti ad un solo telefono a gridare fesserie, nonne obese, nipoti rompipalle, adulti ottusi, donnette, in una rappresentazione che dura troppo per non diventare fiacca, stancante, ripetitiva fino allo strazio.
Ad un altro centimetro un trentenne che comunica con la serietà di un killer. Più avanti una vecchia devastata dal suo analfabetismo digitale che trasmette al nipote di Miami una diretta di mezz'ora della basetta del vicino di posto. E tutto senza imbarazzo.
Ho paura che i parchi wifi termineranno presto. Lo stato sta installando la adsl nelle case.
Entro qualche mese tutti potranno scegliere questa opzione e allora... e allora i parchi wifi andranno tramontando. Poi daranno la linea dati sul cellulare e il gioco sarà fatto. Si vedranno dozzine di monadi alla fermata dell'autobus con la testa, il corpo, tutto, immersi nel proprio smartphone ed il silenzio terrificante della ragione. Oggi mi piace spiarli in questa comunicazione che non è mai abbastanza. L'illusione della connessione globale che si scontra poi con l'assenza di cose importanti da dire. Tutti se ne accorgono. Tutti se ne stanno accorgendo. Alla fine gli uomini non hanno bisogno vitale di comunicare sempre. È un bisogno indotto. È una cazzata. Hanno bisogno di comunicazioni che valgano. Come certe lettere di un tempo.
Senza voler fare del trito passatismo. Ma certe lettere, il pensare e ripensare, ma anche certe telefonate difficili, sognate, conquistate, avevano la profondità che oggi inseguiamo invano con milioni di parole. Miliardi di byte sprecati in dirette imbarazzanti, in miliardi di "Allora tutto a posto?" - "Sì, tutto a posto, te l'ho detto..." - "Insomma, tutto bene..." - "Sì, tutto bene" - "Molte bene...". Boh. Resta comunque il valore estetico di certi luoghi, di certe riunioni di umani al tramonto a causa delle strane traiettorie della storia. A Cuba, adesso, nel mondo. In questo momento.
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