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lunedì 30 luglio 2018

L'Avana: Itinerario turistico n.2



Riprendo il tema degli itinerari cittadini. Di quelli inusuali che pochi conoscono. Sono percorsi personali, l'ho già detto, che non hanno pretese di essere belli senza discussione. Anzi, la discussione la provocano. Quando, la volta scorsa, ho parlato del cimitero di Colon, c'è chi mi ha affrontato col crocifisso lanciandomi spruzzi di acqua santa ed anatemi. In ogni modo, stavolta mi piacerebbe parlare della costa della città. E soprattutto del versante occidentale, quello che va da Miramar fino a Santa Fe.
Faccio una premessa: per me L'Avana, quella bella, va da calle h del Vedado fino a Santa Fe. Accetta due o tre quartieri esterni (Lawton, Santo Suarez, il Barrio Obrero e soprattutto la meravigliosa zona di Santa Catalina) e là muore. A parte sporadiche eccezioni il resto non mi piace. Centro Habana lo trasformerei in un enorme parcheggio o in un centro commerciale, e l'Avana vecchia la evacuerei e poi la transennerei per farne un museo a pagamento. Se non ci fosse il quartiere di Playa, io non vivrei all'Avana. Andrei a vivere in campagna, in mezzo al nulla. A me piace questa Avana prossima al mare, quella che vive del mare. Jaimanitas, Santa Fe, i villaggi di pescatori martoriati dalle mareggiate, dai cicloni, che sono paesi intimi, minuscoli, ma nello stesso tempo città, a un passo dallo strapiombo. E poi mi piace l'architettura sfavillante di Siboney, le sue ville incredibili, il suo silenzio. Siboney è una delle zone più esclusive del mondo, altro che Beverly Hills o gli Hamptons, altro che Chelsea o i Parioli. Eleganza pura e buon gusto. Ma parlavo della costa. Dunque, si deve partire da calle Primera di Miramar. Bisogna percorrerla almeno una volta al giorno. È un antidepressivo. Ti fa sentire in vacanza, sempre. Parti proprio dalla Puntilla, da quella specie di lingua di pietra che guarda al mare. Ti fermi lì e pensi che se un giorno costruiranno degli appartamenti in quel posto, venderai un rene per compratene uno. Guardi lontano e guardi la baia, guardi l'ignoto e il noto insieme, quel Malecon zozzo di tutto, di umanità e di fatti sovrapposti come pelli di serpente, e insieme l'orizzonte buio che si affaccia a nord dove tutto è una minaccia o la speranza degli idioti. Poi cammini verso ovest, il Sierra Maestra, poi il teatro Karl Marx. Ci pensi sempre un attimo: sei nel paese in cui un teatro può chiamarsi Karl Marx. Non è il paradiso? Ti stropicci gli occhi. Sei sveglio. Tra una casa e l'altra noti brevi interruzioni. Rovine. Non spiagge, non nulla. Ma crepe sul mare. La più decente è la playita di 16 che adoro, ma ce ne sono delle altre. Crolli, scogli impossibili, dientes de perro, esseri umani che prendono il sole come fachiri, guardoni, molestatori, segaioli, coppie che si fanno guardare, cani morti spolpati dagli avvoltoi, santeri a leccare il culo a questo o a quel dio, negri scesi da Marianao con stereo in spalla a tutto volume, galline che perdono la vita per togliere le emorroidi a qualcuno, qualcun altro che fotografa, sempre, quell'incantesimo. Vai avanti, passi il Copacabana con i turisti sventrati dagli illusionismi del troione di turno che gli ha organizzato una domenica "tutta la famiglia in piscina": io, tu, mamma e l'immancabile "cugino". Convitati di pietra in ogni angolo. Occhiali da sole volgari come bestemmie, tatuaggi tribali di tribù mai esistite. Tutti con un significato profondo. Poi glielo domandi questo significato profondo e ti dicono: questo totem per una che mi sono scopato tre anni fa a Salerno. Si chiamava Giusi. Non bastava un'agendina? Passi la gelateria italiana del tipo che si vanta di essere culo e camicia con Vasco Rossi, cugino,  fratello di latte, gemello siamese, Albachiara, una roba così, poi i locali della notte meno indecenti, il Melen e quell'altro di cui non ricordo il nome. Passi il ponte sull'acquario nazionale e fai in tempo a vedere le facce sugli spalti del delfinario, facce scorticate dal sole e dalla paresi di un sorriso ittico. Passi davanti all'hotel Chateau e ti sorprendi a ricordare tuo padre che lo adorava quel posto, millenni fa, chissà perché. E poi adesso più avanti, tutta quell'area fino ad arrivare a calle 70 che ha pretese di spiaggia attrezzata ma non é una spiaggia. Vorresti fartela piacere ma non ci riesci. C'è qualcosa che te la mantiene distante. D'inverno i ragazzini ci fanno surf, laddove la risacca forma onde alte e lente come pachidermi preistorici. D'inverno ci vengo con Flabia. L'idea è quella di fare le foto ai surfisti ma finisco sempre per fotografare lei, i suoi sguardi, mi smarrisco in quella monotona ossessione di fermare qualcosa dei suoi occhi che mi sembra sempre di perdere per distrazione. Più avanti, dietro l'hotel Panorama, la costa diventa, ancora una volta, terreno di sacrifici. Mi cambia l'umore e l'amore per questo paese. Girano ceffi vestiti come Moira Orfei, si protendono verso il mare e ammazzano animali a ripetizione per soffocare le malinconie e le preoccupazioni del codazzo di disperati che li segue. Puzza di morte dovunque. Monnezza. Auspico sempre che si applichi una repressione durissima contro questa gente, pene severe contro i sacrifici animali, galera, legge del taglione, lapidazione, quello che sia. Poi devi prendere Tercera. Superi il Trade Center intorno al quale bazzicano i grandi affaristi d'oltreoceano, i nostri Totò. Cialtroni squattrinati incartati in giaccacce metallizzate che diventano sudari, capelli violentati da raffiche d'aerografo color mogano scuro, ventiquattrore con dentro due fette di prosciutto crudo ed un'agendina della Banca Commerciale Italiana del 1982. Trasudano un business disperato, lottizzazioni della loro ultima spiaggia, profumo leggero di caciocavallo e Rexona, in fondo in fondo soltanto un bisogno mostruoso d'attenzione da stagione prepuberale tradita. Più avanti superi il Comodoro, la sua zona dei negozi. Il baretto all'aperto ormai dominato da mandrie di troioni da quattro soldi e lenoni. Tiri dritto fino alla spiaggetta della coda di balena. È lì, una coda di balena d'acciaio piantata nella sabbia a far l'effetto di un cetaceo che si immerge da sempre. Una volta una mareggiata l'aveva divelta. Mia figlia l'aveva notata passandoci in moto. Niente, qualche giorno e stava di nuovo in piedi. Quella coda: l'equilibrio invisibile di questa città. Più avanti il circo, poi la Isla de los cocos, le giostre. Ci sono andato una volta soltanto con Nina nel periodo più difficile di sempre. Ricordo la tristezza di quei giochi. Il tempo che non passava. Il sole furioso. La paura del presente. Il mio amore per lei che non trovava parole per spiegarle ogni cosa. Più avanti si passa su Quinta. La zona del Nautico. Il campo da Baseball dove la domenica le famiglie si ammassano a guardare i figli giocare. Ogni volta mi ricorda i campetti di Roma, la pozzolana, le magliette slabbrate, l'olio canforato, le pantofole d'oro, i gol, i gol, l'istante assoluto del gol, la giovinezza. Poi lentamente, lungo quinta che diventa un viale pieno di chiaroscuri, superi Flores, intravedi altra costa sul fondo, palazzine crollate. Arrivi alla Estrella, a sinistra si va verso Siboney, pensi a casa di Fabio, alle domeniche del Roma Club. È estate. Hai nostalgia di quei momenti. Quando ricomincia? A destra c'è il Club Havana. Ci sei stato una volta e non ti piace. Ti ricordi di essere passato lì proprio il giorno dopo il ciclone Irma. Era tutto per terra come in una casa dopo il passaggio dei ladri. Ancora un rettilineo. Sulla sinistra il Punto zero. Davanti a te Jaimanitas. La fermata dell'autobus costruita da Fuster, poi la scritta a mosaico di benvenuto. Entri dentro. Strade asimmetriche. Odore di pesce. In un vicolo cieco Santy, uno dei migliori ristoranti dell'Avana. Ti piace Jaimanitas. È il quartiere di Flabia. Te la immagini lì bambina. Trotterellando in quelle strade piene di terra e sole. Senti una specie di gelosia del passato. Di quando era un miracolo anche senza di te. Vorresti riparare l'irreparabile. Mettere cerotti e fabbricare passato. Sei lì. Nel mare di questa città che sempre meno è presente, architetture, reti stradali, ma sempre più una trama inestricabile di labirinti intimi. Quelli che partono da calle Primera a Miramar e finiscono a farti battere il cuore. 

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