Oggi,
venerdì 29 novembre mi trovo a parlare di Franco Cardellino al passato, a
ricordarlo, a denunciare la sua perdita e mi sembra assurdo. Ieri ho trascorso
la sera alla funeraria di Santos Suarez in quello strano rituale del velorio
cubano ad un morto. Passavano persone, amici, parenti, conoscenti, curiosi. In
altre sale la gente si ubriacava, gridava, passavano donne con un velo bianco
sulla testa perché non gli "entrasse il morto". Frasi smozzicate sui
fatti, frammenti di un racconto orrendo e irripetibile.
Mercoledì,
alle sette di sera, mentre Samuel, il figlio, stava esercitandosi al piano e
Franco stava facendo una siesta è entrato un uomo per rubare. Samuel se ne è
accorto. Quest'uomo gli ha lanciato uno zaino addosso e ha fatto per scappare.
Si è svegliato Franco e gli è andato contro. Quest'uomo aveva un coltello e lo
ha usato. Lo ha centrato due volte all'addome, lo ha colpito per ammazzare.
Samuel ha visto tutto. Poi la corsa all'ospedale. Un'operazione lunghissima.
Non c'è stato nulla da fare.
Sabato
eravamo a cena insieme. Era un po' che non ci vedevamo. Ognuno assorbito nelle
proprie traiettorie. Ogni tanto una telefonata. Una pizza a Centro Habana. Mi
piaceva vederlo sereno con Marlene, la loro storia, il loro amore giovane,
certe occhiate, certe intese. Franco aveva avuto momenti peggiori dove aveva
perso la voglia di vivere e di andare avanti. Adesso no. Era contento. Sereno.
Abbiamo parlato del passato. Di quando avevamo fatto cose insieme. La
presentazione del mio primo libro dove aveva fatto una lettura magistrale di un
mio racconto, poi le sue performance in qualche settimana della cultura già
troppo lontana. Aneddoti. Ti ricordi quel tale? E quell'altro dov'è finito? E
Emanuela? E Pietro? Chiacchiere. E tuo figlio? E tua figlia? Gli era tornata la
voglia di fare qualcosa. Abbiamo fantasticato per un po' su possibili scenari.
Teatro. Ti va di scrivere qualcosa? Ce l'hai? No, Fra', non so scrivere per il
teatro, ma magari qualcosa m'invento. Poi abbiamo parlato di bestemmie. Flabia
ne ha detta una che io dico sempre. Abbiamo riso. Aveva quella cortesia
piemontese, quel garbo, che lo faceva bello e incisivo. Mi ha detto di essere
ateo. Anch'io, gli ho detto, figurati. Parlandone dopo, con Flabia, avevamo
notato una minima, quasi impercettibile onda di tristezza, forse malinconia.
Gli anni. Ha parlato degli anni che passano. Del fatto che non ha forze per
cambiare di nuovo. Ho fatto una vita che non prevedeva la pensione, quindi a
Cuba ci muoio. Nessuno sapeva quanto fosse vicino quell'epilogo. Ci siamo
salutati con la promessa di rivederci oggi, venerdì con qualche idea. Franco,
se mi viene un'idea la mettiamo su e facciamo uno spettacolo. Chi glielo dice
oggi che un'idea mi era venuta? Che domenica avevo scritto una decina di righe
per un pezzo teatrale che lo immaginava protagonista? Magari una cazzata, ma
era un'idea per fare di nuovo qualcosa insieme.
Caratteri
di merda, io e lui. Una volta, quattro anni fa, abbiamo anche scazzato di
brutto. Mesi senza parlarci. Poi, come succede alle persone con caratteraccio
ma intelligenti ci siamo ritrovati. Forse quel carattere che lo ha portato a
inseguire quel poveraccio. Perchè l'hai inseguito? Lascialo andare, che te ne
frega. È molto più bella la vita. Quante volte l'ho pensato ieri? Quante volte
lo abbiamo pensato?
Franco
era un attore davvero bravo. Spaziava in un repertorio vastissimo dal mimo, al
drammatico, al comico. La sua capacità interpretativa evocava tutto il meglio
della nostra cultura, da Fregoli, a Dario Fo, dalle maschere del cinema muto al
teatro sperimentale. Mi piaceva molto come attore. E lo aveva fatto in Italia per
tanti anni, poi a Cuba. Sempre in quella stradina sottile che cerca di mettere
insieme, di mettere in ordine - e non sempre ci riesce - la vita pratica con la
vocazione. È la storia di tutti.
Ah,
Franco era soprattutto un grande padre. Sul serio. I dettagli privati non si
dicono. Ma lo era. Pochi anni fa mi ha raccontato con gli occhi lucidi del
progetto di viaggio che aveva con Samuel: in camper per fargli conoscere l'Europa.
Era tutto quello che voleva. L'hanno fatto quel viaggio per fortuna. Ed è stato
un racconto che gli ho visto fare con una soddisfazione senza ombre.
Bisogna
abbracciarli forte i nostri figli, sempre, perchè non si sa mai quale sarà
l'ultimo abbraccio.
Scrivo
questo per ricordarlo, perché questa notte ho sognato sogni di merda e perchè
voglio che non si abbassino le luci su questa vicenda orrenda. Voglio, vogliamo
tutti, che la polizia cubana (nella quale crediamo e a cui ci affidiamo) faccia
tutto, ma proprio tutto il possibile per fare giustizia. Franco era un
bell'italiano, ma prima ancora una bella persona e si merita almeno un minimo
di giustizia in terra, visto che lui, come me, di quella celeste nutriva
legittimi dubbi.
Ho sempre avuto difficoltà a gestire il dolore degli altri. Lo seno come se fosse mio. Sento le ingiustizie sugli altri ancora più forti di quelle che capitano a me. Avrei voluto conoscerlo. Avrei voluto meritarmi la sua amicizia, abbracciarlo, conoscerlo come persona. Posso solo mandarti il nostro abbraccio forte.
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