La morte di Diego Maradona non è stata solo la morte di un calciatore. La morte di Diego Maradona è stata la morte di un artista.
Se le persone continuano a salutarlo oggi scrivendo frasi del tipo: "non
giudico l'uomo, piango il campione", o "non condivido la sua vita ma
era un grandissimo giocatore", vuol dire che non hanno capito bene la
cifra artistica di Diego Maradona. Io l'ho visto dal vivo solo una volta in un
Roma Napoli del 1986 dove perdemmo uno
a zero e dove la mia squadro opponeva a fenomeni come Maradona e Giordano,
fuoriclasse del calibro di Manuel Gerolin, Klaus Berggreen e Ciccio Desideri.
Insomma, un suicidio.
Lui giocò una partita svogliata ma non rinunciò a
nascondere la palla per novanta minuti a quella manica di pippe che aveva di
fronte e a segnare un gol.
Diego Maradona non era (solo) un calciatore
Poi l'ho solo adorato. L'ho adorato in una dimensione
che trascendeva lo sport. Io non amo il calcio. Io amo la Roma. Io non vedo
partite che non siano della Roma perchè il resto mi annoia. Per me il calcio è
sublimazione del conflitto e quindi tale definizione del gioco, partorita da
Freud se non sbaglio, la prendo maledettamente sul serio. Il calcio è guerra ed
è quello che muove milioni di persone. Guerra senza morti né armi ma ne ha
tutti gli elementi identificatori e conflittuali. In Italia ancor di più, ecco
perché possiamo essere definiti malati di mente.
In ogni modo, Maradona
sparigliava con tutto. Introduceva in modo definitivo l'elemento artistico. Il
genio. Se si scorre la storia della letteratura si scopre che il sacrificio
verso il bello prevede quasi sempre un'immersione nelle ombre di noi stessi.
Probabilmente un geometra di Voghera per realizzare una planimetria impeccabile
non ha bisogno di affondare le mani nella merda, di drogarsi e di macinare
puttane come bruscolini. Un artista sì, non sempre ma spesso. È il contrappunto
immancabile di chi sceglie (sceglie?) di congelarsi in una fase anale
permanente e di pagarne il prezzo.
Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmè
facevano a gara a chi si drogava di più, a chi scopava in maniera più creativa
e sono morti bambini. Edgar Allan Poe era alcolizzato. Chandler pure. Scott
Fitzgerald pure. Hemingway pure. Bukowski... di che parliamo. Dickens si
nutriva di oppio, Victor Hugo di Hashish e Stevenson amava i cocktail di
cocaina e morfina. Sartre scriveva sotto mescalina ed anche Elsa Morante aggiungeva l'Lsd alla sua dieta mediterranea. Alcuni titoli di sue opere
portano le tre lettere
Lsd (esempio "La sera domenicale") in omaggio al suo passatempo.
Stephen King ha scritto "Cujo" non proprio lucidissimo e Shakespeare
si faceva le canne. Moccia probabilmente non si droga. Vorrà pur dire qualcosa.
In ogni modo, la lista è lunghissima e quelle vite, quell'immancabile
stazionamento nei vari gironi dell'ombra di se stessi è parte integrante
dell'opera. Non è un "genio nonostante" ma un "genio e basta,
con tutti gli effetti collaterali della genialità".
Per essere Maradona dovevi essere TUTTO Maradona
Ecco, e questo che
c'entra con la morte di Diego Maradona? C'entra totalmente. Lui è stato genio ed artista di
altissimo livello e per essere Maradona dovevi essere TUTTO Maradona.
Dovevi
avere quel clan meraviglioso dei Coppola e del suo manager Cyterszpiler (che se
non sbaglio si è tirato di sotto da un quarto piano recentemente), dovevi avere
uno stuolo di fratelli impresentabili sempre dietro, un codazzo di papponi e
camorristi, numeri a quattro cifre di puttane, figli disseminati per il pianeta
come un donatore di sperma, abbigliamenti inverosimili (se non sbaglio si
presentò ad una trasferta in Russia, tramortito dopo l'ennesima notte in
bianco, su un aereo privato e sbarcò con una pelliccia meravigliosa degna di
Andy Wharol o di Rita Pavone), dovevi indossare oro a non finire, orecchini,
come un malandrino dei quartieri spagnoli, dovevi essere eccessivo in tutto.
Per essere Maradona dovevi giocare a Napoli
Per essere Maradona, per arrivare a certi vertici della bellezza non potevi
giocare a Dortmund, dovevi mettere il tuo cesso nel centro di Napoli. Dovevi
stare nel ventre più profondo di quella che credo sia la migliore città del
mondo, tra la migliore gente del mondo.
E poi, per essere Maradona, dovevi
essere ricco sfondato (credo lo sia stato) ma stare sempre, essere forse,
sempre un poveraccio dentro, con la terra della periferia polverosa di Buenos
Aires ancora attaccata alle dita, ineliminabile. Un artista.
Diego Maradona a Cuba
Di Maradona a Cuba
ne so tante e di prima mano che evito di riferire, ma credo di sapere che Fidel
lo abbia accolto e protetto perché sapeva bene di accogliere un artista. Lui,
colto e amico fraterno di Marquez, lo sapeva. E sapeva bene che gli artisti,
quelli veri, sono dei disadattati. Non sanno stare al mondo. Sono la loro arte
e poi dei bambini in tutto il resto.
Maradona è campato troppo. Doveva morire
verso i 45 anni. Questo penso. Tutta la sua vita lo portava là. L'adattamento
di un'opera d'arte a due zampe in un contesto che non sia un campo di calcio è
impossibile.
Maradona commentatore faceva cacare; come allenatore era un
disastro (che gliene fregava a lui degli schemi e poi vaglielo un po' a
insegnare a un signor nessuno come si fa a dribblare un'intera squadra), come
uomo maturo e sereno faceva acqua da tutte le parti. Deve averlo capito anche
lui, che stava perdendo tempo, che era morto già prima.
Come ogni artista ci ha
lasciato un'opera che lo sopravviverà e che avremo tutti ancora negli occhi
finché camperemo. Proveremo a raccontarla, ma non sarà facile. Hai fatto bene
ad andartene, immenso.
1 commento:
Nulla da aggiungere a questo bellissimo articolo, se non che, i geni di qualunque arte, devono giocoforza essere "sprovvisti" di freni inibitori.
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