Cosa vuol dire essere omosessuali a Cuba? L'omosessualità a Cuba è un tema scomodo di cui però è importante parlare.
Parlare di omosessuali a Cuba è affrontare un tema delicato che attraversa quella terra di mezzo, forse una zona d’ombra, popolata da molti tabù, molti stereotipi, salde intolleranze travestite con fragili scorze d’ipocrisia, frontiere interiori e vere e proprie paure.
Non è facile parlarne prima di tutto per chi è omosessuale. Questa difficoltà diventa sovente un vero incubo quando un’inclinazione personale obbliga a difendersi, a nascondersi, a vergognarsi agli occhi della famiglia, della comunità, del mondo.
Non è facile per chi omosessuale non è. Perchè è quasi impossibile anche soltanto immaginare di doversi difendere e nascondere per la propria inclinazione sessuale. Quando si tratta di inclinazioni non c’è una scelta, è come si è, punto. C’è tutto un versante di sofferenze che un eterosessuale neanche immagina.
Il "fenomeno" degli omosessuali a Cuba
Bene, senza volere (o essere in grado di) trattare un tema così vasto, mi interessa parlare dell’omosessualità a Cuba perchè ha, a mio avviso, caratteristiche che forse non tutti conoscono. Da una decina di anni a questa parte sembra essere un fenomeno esploso.
Dopo vari decenni a dir poco difficili dove non sono mancate stagioni vergognose di isolamento e discriminazione, una nuova politica finalmente illuminata riguardo a certe tematiche ha permesso una salida del closet di massa e di converso un nuovo assestamento sociale.
Era finita l’epoca dei matrimoni di facciata per avere il diritto elementare di costruirsi una carriera, una vita sociale, di non essere trattati come malati da correggere, casi psichiatrici.
Una sincera autocritica con conseguenti azioni politiche nell’ottica di “cambiare tutto quello che deve essere cambiato” aveva restituito e sta ancora restituendo a un’intera categoria umana la dignità per troppo tempo negata. La sola istituzione e l’intensa attività del Cenesex (presieduto da Mariela Castro) è una testimonianza dell’impegno senza se e senza ma in questo frangente.
E’ Cuba una società accogliente per gli omosessuali?
Ma la partita più interessante si è spostata, a mio avviso, sul versante sociale. Il machismo radicato nella società cubana è ben lontano da una crisi storica. Un intero impianto ideologico maschilista che alle nostre latitudini sarebbe inconcepibile e ridicolo, qui alligna in tutti gli strati sociali, nelle città come nelle campagne, nelle fasce sociali con bassa e in quelle con alta scolarizzazione.
Insomma, l’impressione è simile a quella che Massimo D’Azeglio immortalò nella frase “fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani”. Non è ancora Cuba, a parte eccezioni, una società gay friendly. Un intero codice ambientale e linguistico, familiare e relazionale, obbliga l’omosessuale ancora oggi a una sorta di autoconfinamento per quieto vivere.
I gay hanno i loro locali, i loro luoghi, i loro spazi. Malgrado ciò, fatica molto un processo più naturale di fusione umana dove la scelta sessuale di ognuno discenda categorie d’importanza e ci si incontri come persone tout court.
All’Avana conosco un solo locale dove convivono etero e gay, un locale il cui splendido nome, “King bar“, allude anche non troppo segretamente al popolare verbo quimbar che vuol dire in senso generico “scopare”. Insomma, riuniti tutti quanti, così come deve essere, sotto questo splendido emblema e poi gli accoppiamenti ognuno li fa secondo il proprio gusto!
I travestiti a Cuba
Scrivevo in precedenza di una vera e propria esplosione del fenomeno omosessuale a Cuba nell’ultimo decennio. In particolare mi sembra che qui abbia preso la piega di una esposizione quasi sfacciata. Il travestitismo, ad esempio, è un fenomeno molto più frequente che in altre società. È molto più immediato, almeno così mi sembra, il passaggio da identità omosessuale a femminilizzazione delle persone.
E l’omosessualità al femminile?
Lo stesso discorso vale per l’omosessualità femminile. Inizialmente pensavo fosse il risultato di un’apertura repentina dei cancelli, una sorta di effervescenza liberante e liberata che scatenava questo sacrosanto bisogno di dire “eccomi qua, sono questo!”. Invece, mi sembra che sia anche questo fenomeno uno degli effetti collaterali del machismo dominante che ancora governa.
A Cuba sembra difficile essere sobriamente omosessuale. Il maschilismo obbliga ad una polarizzazione dei ruoli: o sei uomo, con raucedine costante, bicipiti, musica repartera, donnetta-oggetto che empina il culo sulla moto sempre pulita, occhiali da saldatore e sguardi taglienti, o sei donna, checca, travestito dall’altro lato del fiume e del mondo.
L’errore potrebbe essere quello di credere che a Cuba attualmente ci siano più omosessuali che in Italia. Non credo sia così. In Italia, con tutti i suoi limiti, i gay quasi mai hanno il bisogno di esporre la propria inclinazione sessuale indossando un’uniforme, travestendosi e affrontando il mondo. In un certo senso hanno meno sfide aperte (meno non vuol dire nessuna) con l’ambiente che li circonda. A Cuba ancora no.
A Cuba essere omosessuali ha ancora, spesso, la fisionomia di una battaglia da sostenere con coraggio e senza paura. Dentro e fuori le case, sul posto di lavoro come sul Malecon, a scuola come in famiglia.
Ma con le rivoluzioni i cubani ci sanno fare… Aspettiamo fiduciosi!
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